venerdì 3 ottobre 2014

Ammettere.

Una tantum, per il proprio fegato (nominando il quale intendo "tranquillità + un pezzetto di parte corporea fisica che, a seconda dell'individuo, può essere anche o il cuore o lo stomaco") è conveniente fare mente locale, pur fermandosi bell'e bbuono nel bel mezzo della strada (a piedi, magari, perché se lo fai in auto sulla tangenziale arrivare al C.T.O. senza passare per il via è un attimo).
Oltre al fegato, che magari ti si inizia ad irrancidire in maniera così subdola da accorgertene solo quando iniziano a chiederti se ti hanno preso nel cast del film dei Simpson non tanto per la bravura recitativa ma per la tonalità dell'epidermide, sarebbe opportuno fare ciò anche per la testa, ovvero per il raziocinio frammisto allo spirito di fare.
Come si può notare, per me i concetti di "fegato" e "testa" sono più che collaterali.
Quindi, dicevo, è quasi necessario passare in rassegna ciò che si sta facendo.
Sia chiaro, qua non si insegna nulla a nessuno. Ma, vai vedendo, quella volta che ho aperto bocca, e l'ho fatto così sinceramente da rendermi di primo acchito brutale, è servito a qualcuno.
Io mo faccio mente locale, e devo quindi ammettere.
1) Ammettere le mie debolezze, che sono tante, sulle quali spesso ci ho marciato perché la sicurezza di non mettersi in gioco è sempre meglio del sobbarcarsi le conseguenze di un gesto, seppur piccolo.
Da criaturo, per esempio, me ne stavo lì a osservare il mondo, cercando di non seminare l'universo di variabili per non sfottere la mazzarella alla Teoria del Caos. E non era pigrizia, era troppa diplomazia. Con quel pizzico di ignavia ripulito dalla voglia di stare col più forte: anzi, era meglio usare le proprie forze per riequilibrare l'intero universo (il quale all'epoca non andava oltre il Bivio di Mugnano e Marano). E senza dimenticare una spolveratina di paura delle critiche altrui.
2) Ammettere che finché si hanno le risorse, perdere tempo viene facile. Il secondo anno dell'università l'ho passato a sfogare gli istinti più baccanali. Ovviamente, andando in culo ai corsi che dovevo seguire e agli esami che dovevo sostenere. Tanto, inconsciamente, pensavo che le tasse si sarebbero pagate da sole (quindi andavo in culo anche ai miei). Poi, per mantenermi gli studi, arrivò il momento di cercarmi un lavoro più stabile (sia chiaro, ho sempre lavorato, ma lì ero arrivato a vendermi le carte rare di Magic) e al primo bollettino di pagamento si creò economicamente parlando un palo di frassino nell'ano che mi mise voglia di fare improvvisa e salutare.
3) Ammettere che è più facile criticare che migliorare. Sto scrivendo su internet, e per fare un esempio affine mi balzano all'occhio una decina di utenti Youtube che si sono inventati (o hanno prontamente rubato a pié mani) un mestiere, sfruttando l'occhio di una telecamerina e delle idee anche banalotte che vengono comunque pagate per buone.
Oppure, ricordando un botta e risposta scambiato col buon A. Iannone, posso parlare della scrittura, dove gente che alle medie scriveva i temi di italiano imbruscinando il cazzo, intingendolo prima nella merda, sulle spillette a righe, oggi si autoproclama "come il nuovo [inserire il cognome di un autore che si ama e che accostato al nome di un vostro conoscente che si comporta come grande artista la cosa vi fa salire il sangue ai capelli]".

Ma ammettere anche le proprie capacità e i propri successi, che per dimenticanza personale scaturita da uallera emozionale o per cattiveria altrui mascherata da "l'ho fatto per il tuo bene" uno tende a perdere di vista e affossare nelle montagnelle di sabbia del tempo.
1) Diplomazia? Paura delle critiche?
Per fare una frittata bisogna pur rompere qualche uovo, diceva il signor Tyler Durden, imprenditore di sé stesso (questa è buona, per chi ha visto almeno il film). Se il mio modo di fare dà così fastidio, io non mi posso mica schiattare in cuorpo? Non stiamo parlando di odio verso un paese che, dato tale odio, devo bombardarlo perché sennò sto male. Stiamo parlando di una mia inclinazione, una mia passione, un mio modo di fare, un mio lavoro, che riguarda me e me soltanto. Parenti, amici e conoscenti che possono in qualche modo sentirsi offesi conoscono la via d'uscita. Arrivederci. E se la cosa continua a darvi fastidio, buone cose. E' stato un piacere. Mo però jatevenne ca tengo che ffa.
In quanto alle critiche, ci saranno comunque. Hai voglia a dimostrarti capace e mosso dalle migliori intenzioni. Ci saranno sempre, tra parenti, amici e conoscenti (ci tengo a riportarli all'attenzione perché non c'è categoria di persone che è immune dal morbo della cacacazzìte) quelli che riterranno opportuno abbatterti il morale. Soprattutto quelli che articolano un costruttivo "mah..." e non ti dicono perché hanno dato aria alla bocca per donare al mondo la loro profonda analisi critica sull'operato altrui. Costruttivo quanto richiestissimo, tra l'altro.
In più solo se davanti a te hai una giuria (non plotone d'esecuzione, ho detto giuria: quindi hai scelto tu di metterti in gioco, non sei stato mica rapito) devi dimostrare il tuo talento. Agli altri non devi dimostrare un cazzo dorato e fritto.
2) Si ha tempo per fare? E perché non fare? Cos'è, aspetti che non avrai più tempo per fare nulla e dire "eh, però proprio mo che volevo mettermi a fare non ho più tempo". Ah, vero, sicuro... ma je te sputass 'n faccia. E se magari hai MENO TEMPO puoi sempre e comunque fare. Attenzione, ho detto MENO TEMPO, perché conosco personalmente almeno cinquanta persone (parlo di gente interessante) che nonostante figli neonati, genitori malati, lavori precari, mogli cornificatrici, animali impagliati, cazzi cacati e santi jastemmati non dicono mai NON HO TEMPO.
Ah, tu non hai proprio tempo? Vorresti fare, ma non hai tempo? Fai una prova spegnendo Facebook e poi mi dici.
3) Invece di criticare, datti da fare. Se pensi che puoi dare il tuo onesto contributo, perché non cimentarti? Se credi che puoi fare di meglio, perché non provare?
Ti va male, ti va male. Ma almeno ci hai provato.
Se poi non ci provi nemmeno, allora vuol dire che il tuo hobby preferito rimane il criticare a vanvera, come quei vecchi fuori ai circoli che trovano un colpevole random per le loro piccole disgrazie.
Però, vedi che quelli sono vecchi. Tu ancora devi nascere, un altro po'.

Come ho detto all'inizio, qua non si insegna nulla a nessuno.
Ma a me posso farlo. Anzi, devo.
E questo è un monito per me.
Perché ho deciso di, come si suol dire, circondarmi di cose belle. E se queste non ci sono, me le vado a cercare o me le creo da me.
Se poi questo mio sfogo può risultare terapeutico per chi, come me, ha avuto un attimo di sbandamento, glielo dedico con piacere. Abbracceme, puttà.

PS: No, non sono incinta. Per una volta tanto che parlo serio...

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