martedì 15 gennaio 2013

L'11esimo peggio bar

A seguito del post di Amlo sui 10 peggio bar, aggiungo il mio personale contributo.
Nota: il bar descritto esiste davvero. E mi sono pure contenuto.

11) Il Bar con la lap-dance.
A pochi chilometri da casa mia c'è un bar in cui, non offrendoti altro che qualsiasi liquido appena filtrato da un rene che viene aperto per far defluire il fisiologico nettare direttamente nella tazzina, bell'e bbuono, nel mentre della conversazione tra te e i tuoi amici - capitati lì grazie alle luci fioche, alla semidesolazione e al silenzio invogliachiacchiere - vengono eretti due moai a forma di cassa in due angoli del locale (= leggi: "cuccia per Shar Pei", dato il buon gusto dell'arredamento) e ti fanno zompare i peli dalle orecchie.
Perché uno dei proprietari (solitamente il primo dei tre, visto che mo è usuale la gestione a società) ha sempre avuto il pallino della musica DI discoteca. Tradotto, mette un cd che si porta nelle discoteche più tamarre dell'hinterland cliccando su "repeat all".
Quando ricordi che per comporre la frase "jammuncenn'a ffancul" con i gesti non c'è bisogno di conoscere il LIS, è comunque troppo tardi: un altro proprietario (quello che ha sempre avuto il pallino della pucchiacca) porta al centro del locale (= leggi: "terrario per Falso Corallo", dato il mastodontico volume di accoglienza) quattro cascette dipinte a mo' di palco, le accosta, ci infila un bilanciere in mezzo e batte le mani divertito come un bambino che ha appena finito di costruire un castello con la merda.
Ora, anche se il caffè non è ancora arrivato, non vi conviene scappare: sarete calpestati da una mandria di tacchi 20.
Vi strofinate gli occhi due-tre volte, ma è così: un nugolo di puttanoni si è avventata sul palo, una branca di zoccolissime invade il resto del locale (= leggi: "lettiera per gatti", dato l'inebriante afrore). Un florilegio di panze afora, zizze mosce, spacchi di natiche scese, chili di cellulite. E, di rimando, una nube di testosterone che avvolge lungo tutto il perimetro un arcobaleno di zarrosauri che, come abbinamento più raffinato nel loro vestiario, hanno accostato il viola contusione al giallo pus - però più brillanti.
Nel momento in cui vi arriva il succo di scroto peloso di babbuino in decomposizione (sul menù c'era scritto "caffè Kinder", mah) è meglio per voi se lasciate i soldi sul banco, spintonate la chiatte inguainate in vestiti forellati, che sembrano avere migliaia di capezzoli distribuiti per tutto il corpo, e scappate, scappate alla macchina prima che il posto inizi a fetare di palle sudate.
Se riuscite a salire in auto prima che il vostro amico guidatore vi lasci a piedi - se la vettura è vostra si salvi chi può, che ve ne fotte -, non vi risparmierete le maledizioni, ma vi scanserete di dare un euro a piacere al terzo proprietario (quello che ha sempre avuto il pallino di jastemmare i morti con un motivo valido, e quindi fa il parcheggiatore abusivo al quale, a sfregio, nessuno ha dato mai una lira).

domenica 13 gennaio 2013

Paulo du Coelhoni

Leggere gli status in cui Bukowski viene mercanteggiato a uso Padre Pio a mille lire a foto mi fa venire l'acidità di stomaco.
Non perché nessuno ne può parlare, attenzione. Bukowski è una lettura che mi ha sempre tenuto compagnia, qualche volta mi ha affascinato, altre volte mi ha fatto girare le palle, ma sempre compagnia mi ha fatto.
Come se qualcuno parlasse di mio padre, sottolineando tavolta frasi di spicco. Non perché lui è mio padre e tu non ne puoi parlare poiché io ne sono figlio.
Però mi ruota lo scroto se tu di mio padre hai sentito solo storie, poche, non te ne sei mai curato e visto che ne parlano in tanti ti bagni le labbra con le cose che ha detto.
Ma Bukowski non è mio padre. Non lo è nemmeno Volo, manco Coelho. Direi "per fortuna", in tutti e tre i casi, anche se per motivi ben diversi.
Sapete, non è la mancanza di originalità che mi abbassa il pH dei succhi gastrici. Anche io ho pubblicato sui social network i link diretti a canzoni di varie epoche storiche. Non sono un musicista, non sarei capace a riprodurre un pezzo memorabile. Oddio, neppure una brutta copia cantata alla neomelodica maniera. Mi limito ad accompagnare alla condivisione un guizzo della mia mente.
Ma, tornando al senso di questo post, un aforisma è un pensiero. Sono parole, scritte o dette, ma sono parole. Incisive, blande, pur sempre parole.
E tutti sono liberi di attingere e, ahiloro, farsi belli incipriandosi con l'altrui beltade dialettica. Senza omettere giammai la fonte, sennò si rischia di fare la fine di Tonino con Gaetano.
Tuttavia (congiunzione preferita dalla mia collega Jenny), un consiglio spassionato: aggiungetela una cosa vostra - che non sia "uaaa, beeell!" e basta, please -, sforzatevi di essere in linea col pensiero dell'autore - meglio se, nel caso non lo siate, non pubblicare proprio una cosa non in linea col pensiero dell'autore -, fate capire che - e qui ci tengo a dirla a voce alta, 'sta roba - L'AFORISMA NON L'AVETE COPINCOLLATO TAL QUALE DAL SITO APPOSITO E L'AVETE CONDIVISO SENZA AVER MANCO SFOGLIATO UN CAZZO DI LIBRICINO/EBOOK/RACCOLTA ANTOLOGICA.

Perché? Ma perché se vai tirando bucchini da Battipaglia fin sul Matese, mentre tuo marito gioca coi vostri figli, per il sol gusto di assaporare diversi tipi di umori maschili non te lo puoi/devi permettere il lusso di condividere "le donne sono fatte per esser amate, non per essere capite" (Oscar Wilde).
Piuttosto, ti suggerirei: "Ogni donna la sua fortuna la possiede tra le gambe" (Honoré de Balzac).
Afammocc, aggiungerei.

sabato 12 gennaio 2013

Ruzzle pe tutt'e scale

Ai tempi del liceo, in quella che chiamavamo "cantinòla" ma era piuttosto il posto dove abbiamo trascorrso le migliori serate dell'adolescenza, ci siamo fatti le panze così di giochi da tavolo.
Anche i più restii, alla fin fine, si sedevano e passavano le ore a scervellarsi.
I piccoli riti irrinunciabili e gli episodi evergreen c'erano tutti:
io dovevo avere per forza i carrarmati rossi del Risiko e mi dovevo ciucciare a tutti i costi l'Australia (leggi "carrarmati, aerei e sommergibili" e "l'America" se si trattava di FutuRisiko);
se non usciva la "A", alla richiesta "film di Marylin Monroe" ci inventavamo i titoli, dato che l'unica pellicola che ricordavamo era "A qualcuno piace caldo";
per vincere il triangolino azzurro dovevamo essere fortunati che uscisse la domanda "qual è la capitale dell'Italia?";
il Fujihama era, senza dubbio alcuno, l'albergo d'e puttane.
Per alcuni starò parlando in cirillico, per altri sono chiari riferimenti. E credo che coloro i quali non ci hanno capito una mazza negli ultimi anni si siano quadruplicati, perché noto con dispiacere che gli scatoli dei giochi da tavolo dai rivenditori sono sempre gli stessi, sempre allo stesso posto, sempre più coperti di polvere. E poi, i giochi da tavolo fanno tanto viecchio.
...però mo che l'iPhone ce l'hanno pure i macachi dello zoo di Fasano, hanno inventato Ruzzle.
Tutti amanti degli enigmi. Tutti amanti delle parole. Ora non siamo più viecchi.
11 persone su 10 ci giocano. La persona in più è uno che si fa prestare il touchscreen da un amico.
Addirittura c'è chi fa punteggi assurdi perché l'applicazione accetta pure parole inventate.
E, peggio ancora, c'è chi rimane imbattibile perché hanno già creato un modo per barare. E' come se Picasso avesse dipinto con la tecnica "unisci i puntini". Mah.

No, non mi voglio lamentare del fatto che i più si stiano avvicinando per moda a quelli che erano giochi da tavolo e ora sono app. Fate bene. Almeno sbariate, in maniera semisolida, con la testa, invece 'e fa 'e strunz cu Photo Factory (tanto, a meno che non vi mettiate un cetriolo crudo nell'ano per poi fotografarvi da vicino il perineo, 'a nuje ce ne passa p'o cazzo).

...un appunto, ahimé, m'è d'obbligo.
Ruzzle caro, accetti tutto, accetti pure "tié" (Manuela, non ti esaltare, t'e sulo mettere scuorno!)...
ma comm'è? Accetti tutto ma non accetti "MILF"? Non ci siamo, non ci siamo.

E, comunque, potete anche sfidarmi. Ne sarei contentissimo. Ma preferirei come ho sempre fatto: carta, penna e un quadrato di legno con i dadi a sei facce e le lettere al posto dei numeri chiamato "Maxi Paroliere".
I miei amici si stanno mettendo ancora la Preparazione H. Vi avviso.

giovedì 10 gennaio 2013

Marchi(sio) a peste

Notizia tratta da Il Mattino, letta però tramite il profilo Facebook di Angelo Forgione (diamo a Cesare ciò che è di Cesare, senza che facciamo i sagliuti di mazzo che diciamo "ah, io leggo tutti i giorni i quotidiani perché sono un acculturato" che non ci crede manco il barbiere dal quale vi andate rubando i giornali per farne tutti coppetielli).
La notizia è QUESTA.
Il mio punto di vista è QUESTO.
Seriamente, stiamo ancora a dare peso a determinate storie?
Aspè, aspè, mi spiego meglio, che voi tifosi siete più ciucciabbestie degli asini durante i preparativi degli asino show: volete chiavare afforza, a priori, prima dell'apertura del sipario.
Io mi sto attenendo alla notizia tal quale come ha fatto il 99% dei tizi che hanno sfogato sulla pagina del profilo di Forgione. "Sei una lota", "Se ti incontro ti incendio" e la mia preferita: "Piemontese di merda".
Allò: che ha detto di male? Riporto la notizia paro-paro, così non mi sfagiolate lo scroto: "Non [odio] qualcuno in particolare, ma una intera squadra: il Napoli" e "dopo le finali ruvide di Coppa Italia e Supercoppa. Quando me li trovo di fronte [i giocatori del Napoli] scatta qualcosa".
Vogliamo analizzare le frasi senza dire "mannagg Jeppsòn" una sola volta? Vi dò una mano, su.
C'è scritto da qualche parte "colera", "terremotati", "puzzano"? Non mi pare.
Ha semplicemente esternato un suo pensiero. Ha semplicemente detto che il Napoli gli fa venire i proverbiali riscinzielli. Ha semplicemente non offeso.
E' capace pure che si caca sotto della squadra di De Laurentis, che tecnicamente considera i giocatori di Mazzarri difficili da battere, che si sente inferiore. Può essere una qualsiasi di queste spiegazioni. Può essere un'altra ancora, non elencata ma attinente. O può essere razzismo radicato, ma questo non lo si legge nemmeno tra le righe.
La maggior parte dei lettori di questo articolo, tifosi sfegatati, non ha ragionato manco per un attimo e subito ha tacciato il giocatore juventino di essere contro il Napoli e, peggio ancora, contro Napoli.
E allora, chi gli ha dedicato "Piemontese di merda" che ha fatto? Ma no, i tifosi del Napoli sono immuni perché dopo anni di soprusi ora possono sfogare come vogliono. Giusto? Anzi, devono farlo.
E poi, Fulvio Scarlata (l'autore del post): hai elencato il suo vestiario manco fosse il principe Carlo. Perché, gli elegantoni non possono avere opinioni dure? Non possono dire la propria, pur se non condivisibile da tutti?

Uagliù, mi rivolgo ai tifosi veri, non agli sciemi che subito si scalmanano: siate superiori. A queste notizie che (per usare una frase più abusata) fanno male al calcio non date retta, mai. Non parlatene, almeno non oltre la cerchia di amici che dedicano a queste perle un rutto sonoro post sorso di birra scura.
Perché queste "non-tizie" servono solo ad alimentare l'odio tra le tifoserie che, per quanto mi riguarda, dovrebbero stare sedute mischiate (oooh, eresia!) tra gli spalti, per sfottersi a vicenda, per gustare la vittoria o sopportare la sconfitta.
Io a queste notizie, sapete come risponderei? "Il sentimento è reciproco", come ha scritto lo stesso Forgione. E aggiungerei "parliamone in campo, domenica". Senza che si elenchi l'outfit di Marchisio per far notare il contrasto tra il vestiario e il suo modo di fare.
Primo: se sei uno buono, ti puoi mettere pure la canottiera per andare al veglione di capodanno.
Secondo: non ha detto nulla di male (sempre se non vogliamo fare le vittime) e se pure l'ha fatto, Marchì, ma pij'o ngul!

A. L.

Post Scriptum:
Prima di chiudere aggiungerei che io sono per il Napoli, non sono un vero tifoso (ma solo perché se dovessi seguire la partita da solo, beh, non vale la pena: preferisco condividere il momento con altri amici) ma ancora conservo con affetto i biglietti della curva quando mio cognato mi portava allo stadio a vedere le partite del Napoli Soccer o il giorno in cui il Frosinone abbuscò sonoramente. Per dire. Quindi non venite a farmi un bucchino sul fatto che "se non sei tifoso non puoi capire, il tifo è un'altra cosa". Sono sempre stato simpatizzante, da sempre e lo sarò sempre. Non ho bisogno di sfogare la repressione come fanno in tanti. Visto che per molti "tifare" vuol dire "sfogare".
Non ho niente da dire contro i tifosi della Juventus, per me puoi tifare pure per la Pro Zozzese, ma quelli che tifano Juventus e sono originari di Napoli mi fanno tenerezza. Mi viene da chiedere: durante i cori razzisti che la società per cui tifate appoggia di buon grado, voi che fate? Vi nascondete come pecore o cantate anche voi "oh Vesuvio lavali col fuoco"? Perché, vi avviso, fate prima a riversarvi una latta di benzina addosso e aspettare i propri compagni di tifo darvi una mano.